In un recente seminario di Minerva Lab-La Sapienza sono stati presentati (oltre ai risultati di ricerche condotte in USA, simili a quelli italiani) i risultati di due indagini condotte in Italia sui tempi di lavoro domestico e di cura non retribuito durante la pandemia: per la Sapienza da M. Zanella, E. Aloé, M. Corsi, A. de Rose; per l’Università di Perugia da L, Mangiavacchi. L. Piccoli, L.Pieroni, Fathers Matter: Intra-Household Responsibilities and Children’s Wellbeing during the COVID-19 Lockdown in Italy1. Molti di questi dati trovano conferma nel recente rapporto INAPP presentato al webinar ‘Riflessioni e prospettive in ottica di genere dopo un anno di emergenza sanitaria’.
Secondo l’indagine della Sapienza (Aloe et al);
- Il tempo di lavoro domestico e di cura delle donne è aumentato durante la pandemia, in particolare quello delle madri.
- Gli uomini, specialmente i padri, hanno aumentato il loro contributo al lavoro domestico e di cura non retribuito durante il lockdown, ma usciti dal quella fase il loro contributo è tornato ad essere quello di prima.
- Invece per le donne il carico di lavoro domestico e di cura non retribuito è un pò diminuito con la fine del lockdown, ma si è attestato su un livello comunque più alto rispetto alla situazione pre-pandemia (e questo presumibilmente per il carico di cura dei figli data le imprevedibili chiusure di singole scuole causa infezioni);
- Le donne, specialmente le madri, riferiscono di essersi sentite più stanche nello svolgimento del lavoro domestico e di cura non retribuito durante il lockdown rispetto alla situazione pre-pandemia.
Insomma, il divario di genere permane. L’articolo di In Genere (ricerca La Sapienza. Aloe at al) conclude che ‘questo spaccato dell’uso del tempo nell’emergenza da Coronavirus non sembra suggerire che si sia innescato un reale e stabile cambiamento della divisione del lavoro non retribuito, come è invece auspicabile per ottenere un riequilibrio di ruoli genitoriali e non’.
Oltre a confermare queste tendenze, lo studio della Universitò di Perugia aggiunge altre dimensioni:
- Nell’ambito della categoria generale del lavoro domestico e di cura non retribuito, per gli uomini il tempo dedicato alla cura dei figli (ivi compreso l’assistenza nello studio) è aumentato di più del tempo dedicato dagli uomini al lavoro domestico (NdR: a conferma di quanto emerge dalle indagini dell’ISTAT sul tempo di lavoro e di cura che vede le donne più impegnate nei lavori routinari). Dunque, con i figli a casa il lavoro domestico è aumentato, ma più per le donne che per gli uomini; si è un pochino riequilibrato il lavoro di cura dei figli.
- L’entità del lavoro di cura dei figli da parte dei padri è maggiore quando le madri hanno continuato a lavorare fuori casa durante la pandemia, meno quando la madre è in smartworking (ovvero, la combinazione smartworking e lavoro domestico e di cura pesa di più per le donne che per gli uomini).
- È aumentato del 7% circa durante la pandemia il numero dei padri che sono i caregiver principali.
- La buona notizia (Mangiavacchi et al) è che la maggior presenza dei padri ha migliorato la relazione figli-genitori, un po’ anche lo status emozionale dei figli, ed ha contribuito a ridurre leggermente il tempo passato davanti alla TV (che comunque resta davvero molto alto, passando da 1.5-2 ore pre-lockdown, a seconda delle fasce di età 3-10 o 11+, a 3-4 ore rispettivamente in lockdown; niente aumento del tempo dedicato invece alla lettura, solo un po’ nelle famiglie di livello socio-culturale più alto).
- L’impatto più positivo sul benessere emozionale dei figli – impattato assai negativamente dal lockdown – si è avuto quando con il lockdown sono stati a casa ambedue i genitori. (sorpresa!)
A questi dati vanno aggiunte le testimonianze aneddotiche (riportate in diversi articoli di giornale interviste in TV e,g di padri che raccontano le fatiche ma anche le gioie dell’aver potuto stare a casa con i figli (e di come vorrebbero anche post-pandemia mantenere queste opportunità). Questo soprattutto per i padri con bimbi neonati che hanno riferito di aver apprezzato la maggiore intimità in famiglia dopo la nascita del figlio.
Ma poi ci sono anche i dati negativi, che vanno controcorrente, come quello dell’aumento della violenza domestica durante il lockdown. Ai quali vanno aggiunti i dati relativi alla percentuale di coppie (circa il 12% in tre paesi studiati durante il lockdown, compresa l’Italia) che dichiarano un peggioramento della relazione di coppia. Insomma, al massimo la coppia tiene (e questo, in fondo, è già un dato positivo visto lo stress al quale sono state sottoposte dalla pandemia. I demografi prevedono un ulteriore calo della natalità, che per l’Italia sarebbe devastante. Il fatto poi che un numero elevato di donne abbiano perso o lasciato il lavoro (intono al 4%, IFAPP) e siano tornate ad essere casalinghe si tradurrà statisticamente in un maggiore carico di lavoro domestico e di cura per le donne. Ciò che preoccupa anche sono le motivazioni date dalle donne che hanno scelto di lasciare in lavoro finito il lockdown, motivazioni radicate nella disparità di genere: il fatto che fra i due il marito guadagna di più, perché lei è ritenuta da ambedue come ‘più capace’ di svolgere il lavoro domestico. In questi “accordi familiari” vediamo riemergere con prepotenza il modello che stavamo faticosamente superando in Italia, del ‘padre breadwinner’ e ‘madre care-giver’.
E non è solo sul piano occupazione e della divisione del lavoro domestico e di cura che potremmo rischiare di tornare indietro. Durante la pandemia una percentuale elevata di donne (al momento stimata, in attesa di dati precisi, intorno al 45%) non hanno potuto avere accanto una persona di loro scelta al momento del parto, come se quel dato (la presenza del padre alla nascita), che ormai sembrava (come quello della inclusione del padre in altri momenti del percorso nascita) una conquista consolidata fosse invece una acquisizione effimera, un optional. C’è il rischio che la pandemia possa aver rafforzato le culture organizzative di servizi (ed operatori) sanitari non inclini già da prima della pandemia all’inclusione dei padri, e delle strutture dove non si promuove attivamente la ‘buona nascita’ nel rispetto della volontà della donna e delle relazioni familiari (mentre altri si adoperano per tenere insieme le coppie e le famiglie, anche con innovazioni organizzative che potrebbero essere utili anche fuori pandemia). Di questo si è parlato nel webinar dell’ISS ed il progetto PARENT su Diventare genitori insieme all’epoca del Covid.
Insomma, quale sarà l’effetto combinato dei mutamenti in positivo e quelli in negativo, ovvero: se e come troveremo trasformati, ad emergenza passata, i ruoli di genere nel lavoro non retribuito? Avremo fatto un salto (o magari un saltino!) in avanti verso la parità? Si sarà rafforzata la percezione dell’importanza, anche per lo sviluppo del bambino e non solo per la parità, del tempo dei padri passato con i figli?
Un cambiamento, sia pure lento e parziale, era già in atto, e di questo abbiamo dato conto nelle nostre diverse iniziative come PARENT. Quanto avvenuto e vissuto durante la pandemia contribuirà ad accelerare questo cambiamento? Forse si, ma è difficile per ora prevedere quanto. Di poco e non ‘nel profondo’, ritiene Alessandro Rosina, sociologo della famiglia, intervistato al tempo del primo lockdown, e questo perché – a suo avviso – riprenderà a funzionare il sistema di welfare alla italiana, familistico e fortemente imperniato sui nonni, che durante la pandemia sono stati meno presenti. Vedremo. È certo che senza politiche proattive per quanto riguarda congedi, incentivi per l’occupazione femminile e per la ‘conciliazione paritetica’ sul lavoro, e aumento dell’offerta di posti in asilo nido, e la promozione attiva anche da parte delle istituzioni di un modello di genitorialità paritetico, i cambiamenti rischiano di essere nulli o minimi, affidati alla buona volontà dei singoli.
Diamoci da fare tutti e tutte perché cambino le politiche e si facciano gli investimenti necessari per una vera parità, con nuove politiche e nuovi investimenti: se non ora quando?
Annina Lubbock
Coordinamento progetto europeo PARENT
1 Indagini condotte con questionario online volontario, quindi non pienamente rappresentative della popolazione italiana, anche se alcuni dati emersi trovano riscontro in statistiche nazionali e quindi starebbero ad indicare un buon livello di rappresentatività delle due surveys.